LE AMARENE
Nella società rurale serlese di qualche decennio fa, il tempo era scandito da una ciclicità singolare che implicava ogni interesse, ogni mestiere e, oserei dire, anche ogni pensiero di tutte le famiglie contadine distribuite sul territorio.
Erano, questi, i periodi delle diverse attività: il tempo dei funghi, del fieno, delle castagne, della caccia, del maiale e ……delle amarene,.
Momenti che, nell’immaginario collettivo del luogo, sostituivano le stagioni classiche, quelle istituzionali, addirittura da far asserire a qualche nonnina che i propri figli erano nati al tempo delle castagne, oppure delle amarene o di cos’altro.
Dopo la raccolta delle castagne, frutto richiestissimo dal mercato bresciano, era quella delle amarene ad alimentare i sogni e le speranze di ogni Serlese, così da ricavarne un buon gruzzolo per poter saldare i debiti alla bottega, preparare il corredo matrimoniale alle figlie o per accantonare qualche risparmio per i tempi meno propizi.
Per le famiglie che si dedicavano prevalentemente all’agricoltura, la voce amarene costituiva più del 30% delle loro entrate annuali.
Questo era il motivo principale per il quale molti nostri emigranti che lavoravano all’estero, rimpatriavano in massa, così come i giovani impegnati nel servizio militare che richiedevano la licenza proprio per quel periodo.
Non era un lavoro facile.
Tutt’altro!
Si presentava molto snervante e pericoloso impegnando, giovani, donne e adulti dalle cinque del mattino fino al tramonto del sole, per un totale di circa quattordici ore continuative, intercalate solo da brevi pause per rifocillarsi.
Ogni raccoglitore, appollaiato tra i rami degli alberi o puntellato da rudimentali scale a pioli (scalì), coglieva, in media, circa un quintale di amarene al giorno; i più abili raggiungevano anche il quintale e mezzo.
La produzione media di ogni albero era di circa un quintale, con punte che toccavano i due quintali e mezzo, raccolti su piante ben sviluppate e ottimamente coltivate.
S’iniziava dalle frazioni basse, verso i primi di Giugno, dove il frutto maturava prima, per poi terminare in Cariadeghe, a Luglio inoltrato.
Il raccolto era sistemato in cassette di legno da 20 chilogrammi ciascuna, fornite dai commercianti della zona che avevano l’incarico di raccogliere il prodotto e di venderlo alle industrie dolciarie o conserviere della pianura per trasformarle in marmellate e sciroppi.
In quegli anni, rinomatissime erano le amarene sciroppate della Fabbri che riportavano in calce la denominazione d’origine: Amarene del Tesio di Serle.
Di questo prelibato frutto, alla casalinga di allora rimaneva ben poca cosa, solo l’essenziale per preparare alcuni vasetti di visciole con la grappa o alcune gustose confetture da consumare durante il lungo e rigido inverno collinare e la famosa marenata.
In casi rari, fino agli anni settanta, nelle famiglie più abbienti, veniva prodotto anche una squisita bevanda alcolica a base di alcool, zucchero e amarene che, spesso, per la sua delicatezza, veniva offerto al gentil sesso in alternativa al più virile grappino.
Ogni massaia o casalinga, personalizzava la ricetta a suo gradimento variando le quantità degli ingredienti e modificando le modalità di realizzazione.